ROBERTO VECCHIONI
“Luci a San Siro... di questa sera”
TOUR 2005
Il progetto “Luci a San Siro... di questa sera” l’avevo in mente già da un bel po’.
Tante volte in questi anni uscendo sul palco coi miei sette-otto musicisti, in una serie felice di tournée, mi sono sentito addosso un indefinibile senso di mancanza o malinconia, un desiderio di ritorno. Un “nostos”, insomma. Ma nostos di che? Di me, della mia timidezza, del mio minimalismo, della mia appartenenza ad una dimensione più ridotta e più forte insieme, in una parola al “lirismo” che privilegia la parola, la sua musicalità, l’incanto che può esibire quando è nuda e cruda davanti a tutti. Non rinnego niente delle esibizioni di questi anni, tornerò prima o poi a cantare ancora in quella veste, ma farlo ora mi sembrerebbe come ricalcare la mia scrittura, andare a memoria, sacrificare l’istinto alla saggezza del mestiere.
Cantare, sussurrare, colloquiare con un solo musicista, due al massimo, alle spalle! Come quindici anni fa, in un memorabile tour con Pippo Lamberti al piano. Ma non era possibile, continuava a non essere possibile nel percorrere una strada, sì voluta, ma costantemente obbligatoria, simile a se stessa, dettata com’era dai tempi promozionali, dai libri, dall’insegnamento e quant’altro.
Poi all’improvviso la svolta: l’incontro casuale, non programmato, fuori da qualsiasi progetto artistico, con Patrizio Fariselli. Una cave, una stanza, la hall di un albergo deserto. Lo sento suonare, mi si accelera il battito, provo ad andargli dietro e poi tocca a lui seguirmi quando accenno arie che non ha mai sentito. L’effetto su di me è bellissimo: mi sembra di avere vent’anni e ricominciare, canto in libertà assoluta (tanto siamo soli) e mi accorgo che (finalmente!) le note del piano non seguono la melodia, mi accompagnano e mi lasciano come da tanto non sentivo. Quella sera cominciai a divertirmi e a non sentire più il “nostos”; quella sera ricominciai a a cantare per me e per tutti quelli che mi hanno conosciuto così e mi vorrebbero così sempre.
Organizzammo subito un programma di “recital” che stesse tra il cabaret espressionista, il recitar cantando e il canto-confessione provando per settimane pezzi e brani che meglio si adattassero al progetto.
Quasi subito si aggiunse il contrabbasso di Paolino Dalla Porta, che è insieme viola, violino e batteria.
Con loro due mi sentii subito completo, completato, quasi rappresentassimo l’essenziale minimo delle gamme sonore: l’acuto e il grave, il colloquiale e l’intimo, l’ascendente e il discendente.
All’esperienza e alla sensibilità di Velia Mantegazza si deve poi aver messo insieme la nostra passione e averle dato una forma scenica.
Il recital si presenta come un varietà da camera in cui le canzoni sono ovviamente protagoniste. Quali canzoni? Le più amate da me e da chi mi conosce bene, le più dimenticate, le più emotive, quasi tutte quelle che confessano disagio, dolore e speranza attraverso la favola, il mito, le identificazioni storiche, gli amici, i grandi “vecchi”. Nessun brano è stravolto, tagliato, corretto: anzi, ogni brano è veramente com’è nato, com’era perfino prima di qualche registrazione. E altre canzoni: classiche, non mie, bellissime, del repertorio francese e americano che han fatto la storia.
Volevo divertirmi, volevo una parentesi, volevo uscire dagli schemi, non sentire l’obbligo, l’oppressione che può logorare la gioia configurandola come lavoro o, peggio, impegno o, peggio ancora (dio me ne scampi), missione.
Ma se questo canto-confessione per piano e contrabbasso mi farà e vi farà provare quel che spero, lo riproporrò per molte più serate da quest’autunno fino ad esaurimento di nervi, cuore e voce.
Roberto Vecchioni